Classici Bonelli - L'ultimo cangaceiro - Mister No 3-5
Un epitaffio per Virgulino Ferreira.
Vi
sono incontri che segnano la nostra vita, e non soltanto incontri con
una persona. Si possono incontrare libri, musiche, film; oppure fumetti.
Nel caso specifico non so se avessi incontrato un fumetto o una vera e
propria persona: perché Mister No, per quanto sia una figura di carta, è
uno degli "individui" più autentici e vitali che abbiano partecipato
della mia vita.
Quando
Mister No esordisce in edicola, a maggio 1975, e tre mesi più tardi
quando esce l'albo nel quale ha inizio l'epopea de L'ultimo cangaceiro, è
da un paio d'anni che leggo avidamente quasi ogni fumetto bonelliano mi
capiti a tiro, dopo la folgorazione di un altro incontro, con Tex, che
mi aveva fatto accantonare supereroi, Disney e altre letture, e aveva
indirizzato il mio gusto in una nuova direzione.
Dopo
due albi interlocutori, è con il racconto che prende avvio nel terzo
albo, L'ultimo cangaceiro, che dà il nome all'avventura che terminerà
con il quinto albo, La vendetta del gringo, che Mister No diventa per me
una persona e uno degli incontri che avrebbero segnato la mia vita.
L'eroe
riluttante, anzi l'eroe che eroe non è per nulla - per certi versi più
un cialtrone che un eroe - è un topos appena meno classico dell'eroe
tutto d'un pezzo: per il giovane lettore che scoprendo Tex si era
accostato a quell'incredibile fonte di storie ed emozioni che era e a
tratti ancora oggi è la SBE, quel personaggio recalcitrante, trascinato
quasi a forza a compiere il suo "dovere di eroe" appariva però alieno,
diverso. In realtà, divisi dall'estetica, Tex e Mister No si ritrovano
nell'etica: entrambi hanno il cuore dalla parte giusta, combattono le
stesse battaglie.
Riletto
a distanza di quasi cinquant'anni, questo racconto di un Jerry Drake
ancora acerbo e in formazione non possiede più l'alone di novità e
meraviglia di allora, ma scrostata la vernice del tempo e di qualche
migliaio di storie di ogni genere lette, viste o ascoltate, si ritrova
una narrazione epica e popolare di intatto vigore, una storia dal sapore
autentico e che suscita commozione e ancor più compassione nel loro
senso più pieno: l'emozionarsi per il destino dell'altro e il sentire
come proprie le passioni, le paure, i dolori dell'altro.
Il
rustico segno di Bignotti riporta con immediatezza a tempi in cui i
fumetti inondavano le edicole ed erano - apparentemente - più semplici e
alla buona. In realtà, proprio un racconto come questo mostra la
profondità di storie che, a onta di una certa sbrigatività di impianto e
rozzezza di forme, erano caratterizzate da una densità narrativa,
descrittiva e di emozioni che troppo spesso latita negli albi odierni.
Il trittico de L'ultimo cangaceiro è un romanzo vero e proprio, per
respiro narrativo e ambizione delle tematiche, che mescolano con
accortezza e gran mestiere il miglior racconto d'avventura e l'analisi
sociale, lasciata in controluce sullo sfondo ma che affiora con
naturalezza e che senza mai appesantire il ritmo della narrazione si
presenta chiara, completa e dura alla coscienza del lettore. Romanzo
picaresco e dramma della povertà; ritratto dell'inevitabile e tragico
fallimento della figura del rivoluzionario velleitario; storia del
riscatto negato di un popolo al quale si mischiano intermezzi comici,
spesso farseschi. Puro Sergio Bonelli nella sua incarnazione letteraria
di Guido Nolitta: una scrittura anarchica sorretta da un istinto del
racconto che è (stato) patrimonio di pochi, in Bonelli e altrove.
Nolitta
sciorina una galleria di personaggi indimenticabili, a volte
tratteggiati con giusto un paio di battute. L'eroico e scalcinato gruppo
dei cangaceiros fuori ogni tempo massimo, in primo luogo: Sergio
colloca temporalmente i suoi ribelli una quindicina d'anni circa dopo
l'uccisione di Virgulino Ferreira, il leggendario Lampião, l'ultimo e
più famoso dei capi del Cangaço, la cui morte verso la fine degli anni
'30 del Novecento chiuse la storia largamente più che centenaria di
quello che non fu un movimento quanto se mai una serie di conati di
ribellione, di rifiuti di sottostare a ogni sopruso dei latifondisti,
frammisti a semplici azioni banditesche. Disperati, allegri, sbruffoni,
impauriti, indomiti, piegati: questi epigoni di Ferreira per quanto
edulcorati dalle necessità editoriali colgono probabilmente nel segno la
natura di quelle bande che attraversarono in armi i latifondi dei
coroneis e ne affrontarono la canaglia poliziesca.
In
risalto vi è principalmente la figura del leader del gruppo,
l'idealista, colto Raimundo Texeira a cui Nolitta impone il nome di
battaglia di Capitão Curisco, eredità spirituale del reale Corisco, il
luogotenente di Lampião. Curisco è un personaggio interamente
circoscritto nel suo idealismo ardente, non scevro da un certo realismo,
ma che irrimediabilmente soccomberà in un finale tragico a una realtà
che non è fatta di ideali ma di ricatti, meschinità e bassezze. Che un
personaggio potenzialmente tanto noioso risulti invece vivo e ricco di
umanità è da ascrivere in toto all'abilità di Nolitta nel tratteggiare
personaggi che pur restando nell'alveo del cliché sono tuttavia
profondamente autentici perché non appaiono mai artefatti. Nolitta non
fa mancare l'inevitabile contraltare al suo eroe immacolato nella figura
di Ze' Baiano (di nuovo il nome di un cangaceiro storico per questo
epigono letterario), il grifagno e violento braccio destro di Raimundo
sotto la cui apparenza monocorde Nolitta lascia intuire appena una
storia umana frastagliata: di nuovo, un vero e proprio virtuosismo da
parte del Bonelli più giovane che lascia capire tutto senza esplicitare
nulla.
E pochissime
pennellate sono sufficienti a dare spessore a personaggi secondari, ma
fondamentali per quel respiro di vero e proprio romanzo della storia:
come il caboclo Anjo da Costa; Oliveira il tassista o l'altro cangaceiro
Caixa de Fosforos. Tutti energicamente caratterizzati, tutti precisi
tasselli del ricco mosaico del racconto.
Più
sottile e articolata, forse anche residualmente ambigua la
caratterizzazione di Ramos Cordeiro, il fazendero amico di Raimundo;
mentre con sua figlia Miranda, che in futuro tornerà nella serie,
Nolitta ci fornisce il prototipo di quelle straordinarie femmine
misternoiane che opporranno allo sciovinismo gigionesco di Jerry una
femminilità talvolta complice, tal'altra competitiva, sempre volitiva.
E infine Jerry Drake, Mister No. È qui che Nolitta delinea per la prima volta a tutto tondo il personaggio.
Mister
No si definisce nella ritrosia citata prima ad assumere un ruolo per
cui non si sente tagliato né chiamato, ma che i fatti mostrano essere
invece fatto proprio per lui: dato quel rifiuto istintivo
dell'ingiustizia che è la caratteristica basilare dell'uomo nascosto
dietro la maschera del personaggio. Rifiuto che lo porterà, dopo la fine
di Raimundo e degli altri cangaceiros, a ricercare la "vendetta del
gringo" dell'albo conclusivo, vendetta che porrà Jerry di fronte alla
sua natura più verace. Ma anche nella leggerezza con cui affronta
comunque la vita e le sue difficoltà e che non è meno costitutiva e
basilare dell'uomo dietro il personaggio. Leggerezza che si coniuga con
la vitalità ribelle, insofferente di discipline e formalismi che
incornicia il ritratto dell'avventuriero romantico perfetto.
In
ultimo il Sertão, il set dove Nolitta muove i suoi personaggi, e
personaggio che li ricomprende tutti: il coro tragico che ne accompagna
le gesta e i più modesti gesti. Il Sertão, uno degli angoli emarginati e
reietti del Brasile, che siano l'Amazzonia dove Jerry elegge domicilio,
il Sertão appunto di questa avventura o il Pantanal di un futuro
capolavoro: quel Brasile che Sergio era in procinto di fare diventare un
luogo della mente per i suoi lettori, quel Brasile lontano dai profumi
coloniali di Bahia, dai colori carnevaleschi della Rio turistica e delle
spiagge leggendarie. Quel Brasile selvatico, spesso selvaggio del
tutto, sempre spietato, che solo la levità di Jerry Drake riesce a
stemperare.
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